IL CAPITANO DELLA COSTA CONCORDIA PROTOTIPO DEL DIFFUSO MODO DI AGIRE DEL NOSTRO TEMPO

 

Salerno, 19 gennaio 2011

Ambrogio IETTO

 

I DUE COMANDANTI

 

Man mano che va consumandosi la tragedia della Costa Concordia, lì nei pressi della scogliera dell’Isola del Giglio, si infittiscono i commenti e le riflessioni sulle responsabilità. Mentre il recupero degli altri corpi inzuppati d’acqua marina, ancora giacenti a bordo, e la difficile opera di prevenzione di un inaugurabile disastro ambientale costituiscono  le priorità del momento, i processi mediatici in atto all’interno dei tanti contenitori televisivi e le prime pagine dei quotidiani  si concentrano sul profilo dei due principali protagonisti del disastroso naufragio: da una parte Francesco Schettino, il capitano della Concordia, ormai assurto a prototipo della codardia, della viltà, della mancanza di coraggio, dell’egoismo spietato e disumano, dall’altra Gregorio De Falco, capitano anch’egli dell’italica marina militare, capo della sala operativa della Capitaneria di porto di Livorno, esempio vivente di chi considera prioritaria, nella gerarchia dei doveri, l’attenzione alla salvaguardia della vita umana, di chi, al codice deontologico proprio della categoria professionale di appartenenza, aggiunge il rispetto rigoroso delle norme che regolano i compiti delle diverse figure che riempiono la costellazione dell’ equipaggio di una nave, di chi, in concreto, ha pienamente interiorizzato la cultura della responsabilità che va concretizzata in ben precisi comportamenti. Entrambi i personaggi, più o meno coetanei, hanno intuito e coltivato, fin dalla prima infanzia, il fascino e la conseguente sindrome del mare. Il primo, osservando la distesa mediterranea dagli squarci dei vicoli alti di Meta di Sorrento, il secondo, quasi involontario dirimpettaio, da uno dei tanti angoli paradisiaci dell’isola d’Ischia.

Alla fine le scelte determinanti di vita dei due conterranei  si sono identificate col mare sia pure lungo percorsi formativi e professionali sostanzialmente diversi. Schettino ha perseguito e raggiunto l’obiettivo più significativo della marineria privata: comandare il grattacielo galleggiante di una flotta storicamente consolidata qual è stata e quale rimane la Costa. De Falco, invece, la scelta di arruolarsi nella marina militare dello Stato, acquisendo anche un robusto patrimonio culturale specificamente orientato al diritto di navigazione.

Chi ha avuto l’esperienza di effettuare una crociera ha percepito nitidamente qual è l’entità del fascino post-romantico che accompagna la figura del comandante della nave. Quasi sempre egli è portatore di un fisico prestante, adornato da un’impeccabile divisa bianca. La prassi vuole che, oltre la prima serata dell’accoglienza a bordo, ci sia in programma quella di gala in onore del comandante.

Soprattutto le signore ospiti indossano abiti da sera e sono orgogliose di posare sorridenti al flash del fotografo di bordo, accanto all’aitante ed impeccabile cavaliere la cui immagine, al rientro dal viaggio, circolerà nel salotto di casa e sarà sottoposta al giudizio, quasi sempre entusiasta, delle amiche curiose e, per certi aspetti, anche un po’ invidiose.

De Falco, invece, come tutti i suoi colleghi preposti alle Capitanerie, al di là di qualche cerimonia ufficiale o della partecipazione ad una manifestazione pubblica, sono tenuti a metabolizzare le regole piuttosto severe, proprie della carriera militare.

L’irresponsabile ‘inchino ‘ dedicato al vecchio comandante, avvertito nella sua dimora di Grosseto,  e ai congiunti del capo cameriere di bordo, unico componente dell’equipaggio abitualmente residente all’Isola del Giglio, va collocato, invece, dentro la subcultura della parata, dell’effimero, della destrezza elevata ad estrosità se non a vera e propria stravaganza di cui, purtroppo, Schettino è rimasto vittima.

Di questa stessa subcultura, purtroppo,  vengono ad impregnarsi coloro, ed oggi sono tanti, che si trovano a gestire una qualche forma di potere anche se di modestissima incidenza sociale. I prototipi per eccellenza di questo modo di essere e di agire li troviamo nella categoria dei politici, dei pubblici amministratori che, grazie all’investitura popolare, ritengono di far valere le loro decisioni secondo criteri di deteriore opportunismo, rinunciando in partenza al tanto enfatizzato bene comune.

Ma di questa stessa patologia sono affetti i tanti, troppi personaggi che costituiscono soprattutto la variegata costellazione dei dipendenti pubblici: dall’addetto allo sportello che sbuffa all’ulteriore richiesta di delucidazione da parte dell’utente al suo dirigente che gestirà al meglio l’apposizione della sua firma a quell’attestato o a quel certificato, lasciandola precedere da sottolineature che ne evidenzino la natura di favore concesso in nome e per conto di,  di eccezione compiuta per insistente intervento del comune amico degli amici che ha segnalato la pratica.

La nostra antropologia di popolo tradizionalmente ancorato ai valori della sussidiarietà e della solidarietà sta cambiando paurosamente e, purtroppo, in peggio. Oggi capita di utilizzare da venti anni l’ascensore di casa in compagnia dello stesso condomino e di non andare oltre, nel migliore dei casi, ad una ripetitiva considerazione sul ‘ tempo che fa’.

Oppure succede di leggere un manifesto di annuncio funebre, affisso accanto all’ingresso del portone, e di chiedere informazioni sull’identità della signora del piano di sopra di cui si annuncia il decesso.

Il comandante Schettino, così come alcuni dei suoi ufficiali, tra i quali il disorientato medico di bordo, sempre più incapace di dare risposte convincenti alle incalzanti domande di Vespa a ‘ Porta  a porta ‘, hanno considerato atto primario quello di  salvare innanzitutto  le loro vite.

Purtroppo oggi così va il mondo. Di conseguenza l’intervento pertinente, dovuto e risoluto del comandante De Falco gli fa attribuire l’appellativo di eroe.

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