AD UN MESE DALLA STRAGE CHE PRODUSSE QUATTRO GIOVANI VITTIME NEL POPOLOSO CENTRO DEL VALLO DI DIANO

Salerno, 22 Ottobre 2014

Ambrogio IETTO

QUELLE FIRME DI SASSANO

Di certo non è semplice la decisione che la Procura della Repubblica di Lagonegro dovrà assumere nel momento in cui le condizioni di salute di Gianni Paciello, il protagonista della tragedia di Sassano che lo scorso 28 settembre determinò quattro giovani vittime, consentiranno le sue dimissioni dall’ospedale di Salerno e la conseguente esecuzione del provvedimento di detenzione agli arresti domiciliari.
L’autorità giudiziaria ormai è in possesso di una serie di elementi che contribuiscono inequivocabilmente ad individuare nel ventiduenne di Sassano il soggetto che deve rispondere dell’immane strage prodotta. Essa, però, non può non valutare con la consueta serenità l’istanza che arriva da centinaia di cittadini, residenti nell’operoso centro del Vallo di Diano, finalizzata ad evitare che Paciello torni a casa.
Secondo i firmatari della richiesta si tratterebbe di un atto di giustizia e non di vendetta. Analoga difficoltà vive chi, come chi scrive, osa entrare nel merito della delicatissima questione: da una parte c’è una comunità assolutamente indisponibile a concedere comprensione nei riguardi di un giovane che amava ostentare, con la sua BMW 520 nera, una particolare bravura nel governare il bolide lanciato in programmate giravolte nel centro urbano di Silla, dall’altra c’è una famiglia, in passato piuttosto concessiva e tollerante verso l’irrazionale protagonismo del figlio Gianni, vittima anch’essa di un folle fratricidio sia pure commesso senza intenzione per il tramite di un incontrollato e potente mezzo meccanico.
Già lo svolgimento dei funerali delle quattro vittime in differenti orari confermò la presenza, tra i congiunti dei giovani, di irrefrenabili, comprensibili dinamiche emotivo – relazionali contrastanti.
La petizione, se presa in considerazione dalla Procura della Repubblica di Lagonegro, scaverà in via definitiva un solco di per sé già incolmabile tra le famiglie segnate dalla perdita dei tre giovani e l’altra considerata di fatto corresponsabile dell’evento luttuoso anche se destinataria a sua volta della fine egualmente tragica di un ragazzo quindicenne e di un marchio, sostanzialmente ignominioso e disonorevole, impresso dal folle protagonismo dell’altro figlio.
Purtroppo la vicenda tristissima, che ha vergato una dolorosa pagina di sofferenza comunitaria in un’area territoriale della provincia particolarmente omogenea per convergenze socio – culturali, non sarà dimenticata.
Transiterà nel tempo almeno per qualche generazione; potrà essere percepita gradualmente in misura sempre più contenuta soltanto grazie ad un impegno corale della comunità, alimentata dal fervore rappacificante e dalla testimonianza significativa di quanti, nelle istituzioni e fuori di esse, prenderanno consapevolezza di essere chiamati a porsi, con grande umiltà e profondo rispetto dell’altrui dolore, come saldi punti di riferimento per un lento ma non impossibile processo di ravvicinamento e di conciliazione.

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