LA DOMENICA CON DON GIULIO CIRIGNANO: “RICONSEGNARE LE RESPONSABILITA’ A PERSONE LIBERE DALLE NOSTALGIE DEL PASSATO E CAPACI DI FUTUTO

IL SECONDO PONTIFICATO DI PAPA FRANCESCO
Secondo anniversario della elezione di Papa Bergoglio. E’ tempo di riflessioni serie e coraggiose. Serie perché quanto maturato in questo breve lasso di tempo merita il coinvolgimento positivo e fattivo di quanti hanno a cuore il bene non solo della Chiesa ma anche della stessa convivenza umana. Coraggiose perché questi due anni hanno messo in evidenza un’inimmaginabile resistenza da parte della vecchia mentalità. Credo che Papa Francesco abbia toccato con mano quanto il Cardinale Martini aveva con franchezza dichiarato circa i ritardi di alcuni ambienti della Chiesa. Ritardi preoccupanti e pericolosissimi.
Tuttavia niente pessimismi. Nel momento in cui prendiamo atto di tali ritardi non possiamo fare a meno di pensare alla forza e alla presenza dello Spirito. E’ Lui che mantiene il cuore libero da sterili apprensioni. Ed è sempre Lui che rinnova l’invito a ciascuno di fare il possibile per far sentire a Papa Francesco, in maniera concreta, la disponibilità seguirlo sulla strada del rinnovamento.
Una recente esperienza mi ha fatto molto riflettere:
con un piccolo gruppo di sacerdoti di varia età ci siamo trovati a ragionare sul momento che, grazie a Papa Bergoglio, stiamo attraversando. Con stupore ho dovuto prendere atto di una diffusa, ostinata difficoltà a sintonizzarsi con l’ attuale, concreta situazione di novità.
Conosco quei sacerdoti, sono impegnati e buoni. Tuttavia nel clero, anche in quello migliore, permane talvolta l’atteggiamento mentale tipico di persone che si considerano arrivate, non più bisognose di studio e aggiornamento, paghe degli studi fatti in gioventù, poco propense alla curiosità intellettuale. Quella di apprendere a dubitare e a mettersi in discussione è un arte difficile.
Ma, forse, questa è solo una parte della verità. La vera ragione della difficoltà a recepire le provocazioni che giungono dalla felice azione di Papa Francesco e che cercavo di proporre alla loro attenzione sta, molto probabilmente da un’altra parte. Sta nel fatto che, personalmente, non avevo alcun titolo per gestire il ruolo di guida nei loro confronti se non la maggiore età e il fatto che, per diversi di loro, ero stato insegnante di Sacra Scrittura. Troppo poco per poter pensare di rompere quel muro di personale, legittima autonomia di pensiero che ciascuno, con il passare degli anni, si costruisce.
Mi sono reso lucidamente conto, allora, che solo chi ha responsabile autorità nella Chiesa può e deve, in questo momento, coinvolgere i sacerdoti e il laicato in generale nel cammino di conversione alla novità suggerito dal Papa.
Sto pensando al vescovo. Il vescovo, fratello tra fratelli, in totale fedeltà alla semplicità evangelica.
Ma per far questo dovrebbe scendere da quell’inutile piedistallo che il gerarchismo postridentino ha costruito, dovrebbe deporre i segni di quella superiorità diventata una vera e propria contro-testimonianza non più sopportabile, dovrebbe ritrovare il tratto ed il linguaggio della comunione umile e fraterna.
Dopo il primo momento del pontificato e, soprattutto, dopo la pubblicazione della “Evangelii Gaudium” c’era da augurarsi che molti, spontaneamente, spinti dall’esempio di Papa Francesco riconoscessero i segni dei tempi e, senza farsi troppo pregare, ritrovassero il profilo evangelico del vero servitore della gioia verso tutti coloro che sono stati affidati alla loro responsabilità, spogliandosi completamente di quel pesante fardello storico che li fa sentire al di sopra. Non lo hanno fatto.
Anzi, alcuni hanno addirittura assunto la faccia feroce manifestando un dissenso che non dobbiamo temere di definire colpevole, non tanto perché rivolto verso la persona del Papa quanto piuttosto contro lo stesso Evangelo che non giustifica più quello stile da controriforma che, ora, è del tutto fuori stagione.
Ecco perché ho parlato di coraggio. Perché, in spirito di gratitudine, abbiamo il dovere di alzarci in piedi per dire alto e forte il gaudio che Papa Francesco ci ha rimesso in cuore. Lo so, siamo tutti figli della Controriforma con tutto ciò che essa significa, tutti con la congenita difficoltà ad affrontare il nuovo esodo verso il cuore del vangelo e dell’uomo di oggi.
Ma questo non può scoraggiarci. Ritengo, infatti, che in modo particolare i colleghi biblisti, sparsi nelle diverse diocesi italiane sentano la spinta a farsi custodi appassionati dei doni e delle provocazioni dello Spirito. In ogni diocesi spetta a loro, certamente in comunione con gli altri carismi e ministeri, il compito di togliere la polvere che in questi secoli si è posata sulla Parola di Dio, spetta a loro richiamare l’attenzione a quella emozione originaria suscitata dalla Pasqua e consegnata nelle Scritture come forza di una perenne giovinezza della Chiesa.
Non abbia paura Papa Francesco a guardare in faccia la situazione della Chiesa, in particolare quella italiana, resa – in questi ultimi tempi – quasi terra di occupazione sistematica, secondo una logica di restaurazione e debole obbedienza alle consegne conciliari. Per questa ragione essa, nella sua configurazione, va destrutturata profondamente. Strada estremamente complessa ma da non tardare ad intraprendere, per riconsegnare la responsabilità a persone libere dalla nostalgia del passato e capaci di futuro.
Nell’ esperienza ecclesiale due sono le accezioni della parola “ passato”. Una è quella che si riferisce al passato di Dio, che non solo non va dimenticato ma, al contrario, continuamente attualizzato. Sono le grandi opere di Dio che hanno trovato nella storia di Gesù morto e risorto il loro punto più alto.
L’altra accezione è quella del passato degli uomini che, invece va continuamente sottoposto a verifica di fedeltà al passato di Dio. E’ venuto il momento di comprendere che la fine di una stagione ecclesiale non è la fine della proposta evangelica, ma solo la conclusione di una modalità di rendere tale proposta capace di orientare la vita.
Destrutturare la Chiesa dalle sedimentazioni del passato degli uomini è, come già detto, impresa difficilissima, delicata, perfino umanamente impossibile. Solo lo Spirito può realizzare un compito tanto complesso e, nello stesso tempo, anche tanto importante per il destino stesso della Chiesa. Per questo, a noi non resta che pregare il Signore. Pregarlo con passione e costanza. Lui ha aperto il nostro animo alla speranza, non sarà certo Lui a richiuderlo. D’altra parte il Papa ha già fatto tanto, con il suo stile di vita, con le sue parole. Indietro non si potrà più tornare, anche se alcuni in cuor loro lo sperano. Papa Francesco deve solo continuare, attuando quanto ha già scritto.
A questo proposito è quanto mai opportuno andare a rileggersi e meditare con spirito di fede quanto è fissato con assoluta chiarezza al numero 31 della “Evangelii Gaudium”, oppure le ispirate parole circa la mondanità spirituale (nn.93-97). Se questo non fosse sufficiente c’è sempre il n.104 della mirabile esortazione a spengere qualsiasi tentativo di fuga dalla logica evangelica.
Non abbia timore il Santo padre del suo coraggio. Il popolo di Dio è con lui. Soprattutto è con lui il Signore che lo ha scelto per riaccendere in molti la gioia di essere credenti.
Il Papa può farsi forte di una certezza. Se una stagione è conclusa, quella che ha aperto attende di essere riempita, resa vitale ed affascinante dalla attuazione delle prospettive consegnate nella “Dei Verbum”, nella “Lumen Gentium”, nella “Sacrosanctum Concilium”, nella “Gaudium et Spes”. Praterie immense di bellezza stanno davanti a noi.
La Parola nella sua saporosa verità, la configurazione interna della Comunità ecclesiale nel segno della pari dignità di tutti i battezzati e quindi nella fraternità e nella responsabilità del laicato, la liturgia come festosa partecipazione del popolo di Dio non da semplice e passivo spettatore, il rapporto Chiesa-mondo quale attuazione della premura di Dio. Si, praterie di bellezza che non possono essere rubate da nessuno.
Una domanda non possiamo a questo punto eludere. Questa: se i rigidi tutori dell’ordine costituito, se gli inossidabili custodi del passato che spesso hanno pure la presunzione di essere difensori e maestri di vita cristiana fossero stati presenti quando Gesù trasgrediva il sabato, praticava pubblicani e peccatori, frequentava quelli che erano ritenuti proprio dai tutori religiosi dell’epoca intoccabili e infrequentabili come lebbrosi, donne, bambini, quando dichiarava la suntuosa costruzione cultuale come ormai del tutto esaurita nel suo compito e così via elencando le amabili“stranezze” del rabbi misericordioso e mite, da che parte sarebbero stati?
Con buona probabilità dalla parte del Sinedrio. Il Sinedrio di ieri e i sinedri di oggi: nel mezzo i poveri cristi di sempre, in attesa di parole e gesti di speranza.

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